venerdì 22 maggio 2015

Pensiero veloce e pensiero lento: Einstein, e l'elogio della lentezza.



29 set 2014


Piero Biannucci


Quando aveva 16 anni e abitava a Milano in via Bigli, a un passo dal portone che sarà quello del Nobel per la letteratura Eugenio Montale, Albert Einstein sognò di cavalcare un raggio di luce avendo davanti a sé uno specchio. 
Come si sarebbe comportata la luce correndo alla sua stessa velocità? 
Il sognatore intuì che non sarebbe riuscito a vedersi riflesso nello specchio: perché ciò accadesse, avrebbe dovuto superare la velocità della luce. 

Qualche tempo dopo, studente al Politecnico di Zurigo, Einstein si rese conto che nelle quattro equazioni di Maxwell che descrivono l’elettromagnetismo la velocità della luce è una costante: il seme della nuova fisica, che avrebbe relegato Newton tra le anticaglie, era lì, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se n’era accorto. 
Nel mondo di Newton le velocità, compresa quella della luce, si possono sommare e sottrarre, in quello di Maxwell no. 
D’altra parte, già nel 1887 un esperimento di Morley e Michelson aveva dimostrato che non esiste il mitico etere e che la velocità della luce non subisce l’influsso del moto della Terra intorno al Sole.  

Einstein trasse le conclusioni di questa lunga preparazione interiore nel 1905, all’età di 26 anni, in un articolo intitolato “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”. 
Noi oggi abbiamo dimenticato quel titolo dimesso ma conosciamo bene la gloriosa teoria della relatività speciale (o ristretta, con aggettivo da tazzina di caffè) che l’articolo per la prima volta presentò al mondo. 

Rievoca il sogno di Einstein adolescente Lamberto Maffei nel suo ultimo libro, “Elogio della lentezza” (il Mulino, 146 pagine, 12 euro). 
Breve fu l’intuizione onirica, lunga l’elaborazione del problema. Forse di nuovo rapido l’andare insieme dei dati raccolti. 
Stiamo parlando dell’atto creativo di un genio, ma le due modalità, pensiero veloce, pensiero lento, sono qualcosa di molto più generale che riguarda anche chi genio certamente non è. 

Notizie, immagini, e-mail, tweet, sms viaggiano quasi alla velocità della luce da un capo all’altro del mondo ma la velocità del cervello è sempre la stessa. 
Abbiamo un pensiero veloce, che sia pure con fatica riesce a tener dietro alla tecnologia, e un pensiero lento, che invece ha tempi molto più lunghi. 
Il primo agisce addirittura prima di pensare. 
Come gli esperimenti dello psicologo americano Benjamin Libet hanno dimostrato, le nostre azioni partono tre decimi di secondo prima che ne abbiamo consapevolezza. Il ragionamento, l’elaborazione linguistica e artistica, l’analisi critica richiedono invece tempi lunghi. 
Che cosa succede quando la società lascia spazio solo al pensiero veloce ed emargina quello lento? 

E’ il problema attualissimo che Maffei –uno dei neuroscienziati più illustri, studioso della percezione visiva, professore emerito della Scuola Normale di Pisa e presidente dell’Accademia dei Lincei – analizza in un momento storico nel quale la velocità sembra essere l’unico valore.  

Il titolo, “Elogio della lentezza” anticipa le conclusioni. 
Dal punto di vista evolutivo, il pensiero veloce è il più antico, con il suo automatismo dà risposte efficaci ma poco flessibili e niente affatto creative. 
Il pensiero lento si è sviluppato più tardi, da quando, circa 200 mila anni fa, l’uomo moderno ha incominciato il cammino verso una civiltà sempre più complessa. 
Le sue risposte sono flessibili e innovative. La sopravvivenza nella foresta ha bisogno di pensiero automatico, e quindi veloce; la civiltà cresce invece grazie al pensiero lento. 

Con mano leggera che nasconde profondità di conoscenze neurologiche, Maffei delinea i rischi di una prevalenza del pensiero veloce nel mondo contemporaneo, ravvisandolo nella superficialità dell’informazione televisiva, nel consumismo bulimico, nella perdita della capacità di meditazione razionale.  

Molto stimolante è l’ultimo capitolo, dedicato alla creatività, dove incontriamo il fisico Einstein e il chimico Kekulé, scopritore (in sogno) della forma ad anello della molecola del benzene, ma anche artisti come Van Gogh, Munch e Pollock.  

Nella fenomenologia della creatività si riconosce una illuminazione veloce (che sembra improvvisa ma è preparata da un lungo lavorio inconscio) seguita da una elaborazione specifica del pensiero lento. 
Ma in queste pagine Maffei presenta anche un punto di vista originale: la creatività – dote che può essere del tutto sconnessa dall’intelligenza – sembra emergere da un rumore di fondo dell’attività cerebrale che in uno stato di bassa inibizione permette di riconfigurare, con associazioni e analogie insolite, emozioni, ricordi, immagini, concetti. Cosa possibile solo se concediamo al pensiero lento, all’otium, e magari alla noia, il tempo di cui hanno bisogno. 

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