venerdì 10 gennaio 2014

Il Contratto Unico proposto nel "Job Act" di Renzi

Da Panorama

Contratto unico: che cos'è, i vantaggi e gli svantaggi
Cosa potrebbe cambiare nel mondo del lavoro (in bene e in male) se passasse la proposta contenuta nel Job Act del segretario del Pd, Matteo Renzi

di Andrea Telara, 10 gen 2014

Assunzioni a tempo indeterminato fin da subito, ma senza le tutele dell'articolo 18 per i primi 3 anni. E' questo, in sostanza, il tratto distintivo del nuovo contratto unico di lavoro, proposto dal segretario del Pd, Matteo Renzi, con il suo piano per rilanciare l'occupazione (Job Act) che verrà presentato ufficialmente nella seconda metà di gennaio. A ben guardare, non si tratta affatto di una novità assoluta perché l'idea renziana del contratto unico ricalca alcune proposte già presentate in Parlamento nella scorsa legislatura e mai discusse né votate dalle Camere. Una di queste, per esempio, è quella messa a punto dagli economisti Tito Boeri e Pietro Graribaldi, assieme a Paolo Nerozzi, senatore del Pd ed un ex-sindacalista della Cgil.
Chi vorrebbe il contratto unico, tra cui lo stesso Renzi, ha l'obiettivo dichiarato di superare il dualismo che da molti anni caratterizza il mercato del lavoro italiano. Nel nostro paese, infatti, c'è un esercito di precari (soprattutto giovani) costretti a barcamenarsi tra assunzioni a termine o contratti ultraflessibili (come le collaborazioni a progetto), che durano spesso molti anni e si trasformano con sempre maggiore difficoltà in un inquadramento stabile. Chi riesce a farsi assumere a tempo indeterminato, invece, vive indubbiamente in una situazione più serena e gode delle tutele previste dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che, in certi casi, impone alle aziende con più di 15 addetti di riassumere nel proprio organico un dipendente licenziato ingiustamente. A dire il vero, le norme dell'articolo 18 sono state attenuate dall'ultima riforma del lavoro dell'ex-ministro Fornero , che ha lasciato l'obbligo di reintegro solo per i licenziamenti discriminatori. Per quelli dovuti a motivi economici, invece, l'impresa che lascia a casa un dipendente senza una giusta causa è obbligata soltanto a erogare un indennizzo in denaro mentre nei licenziamenti legati ragioni disciplinari la decisione spetta in parte al giudice, che può disporre o meno il reintegro.
Con l'arrivo del nuovo contratto unico, le tutele dell'articolo 18 verrebbero invece sospese per un po' di tempo. In pratica, se un giovane alla prima esperienza di lavoro o un disoccupato vengono assunti fin da subito a tempo indeterminato, nei primi 36 mesi dovranno attraversare una sorta di periodo di prova prolungato. Per tre anni, il dipendente potrà essere cioè lasciato a casa dall'azienda senza aver diritto a un eventuale reintegro. Qualora il licenziamento fosse dichiarato ingiusto dal giudice, al lavoratore verrebbe liquidato infatti soltanto un indennizzo in denaro, che cresce nel tempo in proporzione all'anzianità di carriera, cioè con un sistema di tutele progressiva (Boeri e Nerozzi, per esempio, hanno proposto una indennità pari a circa 2 mesi di stipendio per ogni anno di lavoro accumulato). Una volta superata l'anzianità dei tre anni, però, il lavoratore riacquista tutte le tutele previste dall'articolo 18, al pari dei colleghi più anziani. Servirà questo nuovo contratto unico a combattere il fenomeno del precariato? Sicuramente è ancora presto per dirlo, visto che la proposta di Renzi deve essere svelata nei dettagli.
Sapendo di poter licenziare senza troppe difficoltà il dipendente, molte aziende potrebbero dunque offrire questo nuovo contratto unico a tutele progressive, al posto di molte assunzioni precarie oggi esistenti, come le collaborazioni a progetto o quelle con la partita iva (che offrono ben poche garanzie al lavoratore o lo sottopongono sempre alla “spada di Damocle” di un mancato rinnovo della collaborazione, alla scadenza prefissata). Inoltre, se il contratto unico venisse applicato su larga scala, probabilmente parecchie imprese sarebbero anche incentivate a investire maggiormente nella formazione e nella crescita professionale dipendenti più giovani, avendo instaurato con loro un rapporto che ha una prospettiva di lungo termine.
FLESSIBILITA' SENZA ALTERNATIVE
Poiché il diavolo si annida nei dettagli, però, bisognerà vedere in quali forme Renzi e gli estensori del Job Act intendono proporre e applicare il contratto unico. Vogliono renderlo obbligatorio per tutte le nuove assunzioni o semplicemente incentivarlo, con degli sgravi contributivi? In quest'ultimo caso, i nuovi inquadramenti a tempo indeterminato sarebbero probabilmente ben accetti da molte aziende. Discorso diverso, invece, se il contratto unico provocasse la cancellazione di alcune assunzioni flessibili oggi esistenti, come ha fatto parzialmente intendere anche il segretario Pd. Se così fosse, allora, il Job Act rischia di avventurarsi in un campo minato. E' vero che alcuni inquadramenti precari non sono certo il massimo della vita e che molte aziende ne fanno un uso sbagliato e contrario alla legge. In certe situazioni, però, il lavoro flessibile non sembra avere molte alternative.
Se un ristoratore necessita di un cameriere per gestire il catering di alcuni eventi, per esempio, non può certo reclutarlo a tempo indeterminato ma ha bisogno di utilizzare un contratto a termine o un'assunzione a chiamata. Stesso discorso per molte aziende che lavorano su commessa o che che devono gestire dei forti picchi di domanda stagionale e aumentare il personale soltanto in certi mesi dell'anno. Cosa succederebbe a tutte queste imprese, dunque, se non ci fossero i contratti a tempo determinato oppure il lavoro su somministrazione? E' probabile che molte di loro assumerebbero in nero e non certamente con il nuovo contratto unico a tempo indeterminato che, sarà pure più flessibile, ma espone comunque l'impresa al rischio di un contenzioso legale, in caso di licenziamento.


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