mercoledì 12 febbraio 2014

Il "virus" dell'irrazionalità

Da La Stampa

L’irrazionalità è come un virus, ma un vaccino ci salverà

Credere o non credere? Il nostro cervello è più manipolabile di quanto pensiamo
Boom di paure e teorie del complotto: si può rimediare con la politica “smart”

di Andrea Ballabeni, 12 feb 2014 (Bentley University, USA)


Nel mondo sono migliaia gli uomini e le donne che ogni anno muoiono a causa di credenze irrazionali che inducono molti a non seguire le migliori prassi di prevenzione. La ritrosia verso la pratica vaccinatoria ha alla base motivi diversi. Vediamo i principali. 

Se è vero che la paura per il rischio di autismo nasce da un vero studio scientifico, pubblicato negli Anni 90 e poi ritratto dalla letteratura per acclarati errori (una massa enorme di studi scientifici indica invece la mancanza di ogni associazione tra vaccinazioni ed autismo), altre credenze nascono da indagini giornalistiche che, non essendo in genere condotte da persone specializzate, presentano quasi sempre serie lacune metodologiche. Occorre, infatti, padroneggiare bene alcune aree del sapere, come l’epidemiologia, per poter condurre in modo rigoroso questo tipo di studi. 

Un errore che i non esperti spesso commettono è quello di non usare gruppi di controllo. Può succedere, ad esempio, che in un’indagine giornalistica si conti il numero di morti in un gruppo di persone sottoposte a vaccinazione, ma non si analizzi (o non lo si faccia in modo rigoroso) un gruppo simile di persone non sottoposte a vaccinazione. 

Altro problema è che i non addetti ai lavori, spesso, non capiscono appieno la differenza tra correlazione e causalità, nonché il concetto di «confounding factors», variabili che influenzano («confondono») l’interpretazione dei dati. Per fare un esempio non legato alle vaccinazioni, se la popolazione attorno ad un ripetitore ha una incidenza maggior di tumori, non è detto che questa sia dovuta al ripetitore. Potrebbe anche essere che quella popolazione è più anziana o più povera o semplicemente che esiste un altro inquinante nella stessa zona. 

I non esperti in materie scientifiche hanno poi scarsa dimestichezza con le analisi di tipo quantitativo. Si prendano ad esempio le polemiche su sostanze come thimerosal o squalene, presenti in alcuni vaccini. Molti non comprendono che la pericolosità di qualsiasi sostanza dipende dalla sua dose: tutto in grandi quantità è pericoloso (pure l’acqua), tutto in piccole quantità può essere innocuo (si veda la tossina botulinica usata per abbellirci). 

Un altro errore commesso spesso da chi non ha studiato alcune discipline è la differenza tra ex-ante ed ex-post. In occasione della pandemia influenzale del 2009 molti ritennero che la campagna pubblicitaria per la vaccinazione fosse stata esagerata. La prova, secondo loro, stava nel fatto che a fine stagione non si verificò nulla di apocalittico. Ma l’errore sta nel fatto che queste persone analizzano in modo ex-post qualcosa che dovrebbe, invece, essere analizzato con una mentalità ex-ante. All’inizio di ogni stagione gli esperti non sanno infatti quanto grave sarà l’influenza in arrivo né quanto efficace sarà il nuovo vaccino. Chi ha il delicato onere di decidere la politica sanitaria deve stimare tutti gli scenari e basare su queste stime l’analisi rischi-benefici. 

Altro concetto poco chiaro ai non addetti ai lavori è quello di «herd immunity», per il quale più persone si vaccinano e meglio è per la popolazione generale, comprese le persone che, per scelta sbagliata o per impossibilità, non sono vaccinate. La propria vaccinazione non serve, quindi, solo a se stessi, ma anche ad altre persone, in particolare quelle più a rischio come gli anziani. Non viene inoltre spesso compreso che un vaccino può avere un beneficio minimo sul rischio individuale (si pensi ad esempio al vaccino anti-influenzale), ma può su larga scala salvare migliaia di vite umane, nonché scongiurare un numero ancora maggiore di infermità temporanee e limitare la perdita di ore di lavoro. 

Esiste, infine, la solita atavica paura verso quello che non conosciamo, unita al fascino irresistibile per le trame oscure. Le case farmaceutiche hanno certamente i loro interessi e qualche volta riescono davvero ad influenzare qualche accademico o qualche politico. Ma basterebbe conoscere come avvengono i processi di ricerca e decisione che portano alle politiche di vaccinazione - processi portati avanti da gruppi di studio e lavoro in cui la maggior parte delle persone non ha conflitti di interesse finanziari - per rendersi conto che la realtà è molto più complessa delle semplicazioni naïve cercate dagli amanti dei complotti. 

Per adottare le migliori politiche sanitarie, al fine di salvare vite umane e risparmiare denaro pubblico, e per promuovere una corretta ed articolata informazione scientifica, occorrerà che sia il mondo politico sia quello giornalistico acquisiscano piena consapevolezza del fatto che su certe questioni la parola vada veramente data agli esperti. Allo stesso tempo è del tutto ovvio che anche gli scienziati dovranno imparare a comunicare meglio con politica e media. In particolare sarà cruciale promuovere sempre più gruppi di lavoro interprofessionali, in cui le diverse «expertise» siano rappresentate in modo bilanciato. Il processo legislativo dovrà diventare sempre più basato sulle evidenze, in poche parole dovrà essere «science based». 

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