Dopo 50mila errori i pm rischiano di pagare
Alla Camera passa l’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati. Le vittime della malagiustizia esultano.
E Napolitano avverte: «Basta
privilegi»
di Mau. Gal., 12 giu 2014
La Camera dice sì alla responsabilità civile delle toghe.
Un
emendamento della Lega alla legge comunitaria sulle bibite gassate che introduce
la norma, votata al referendum dell’87 da quasi 21 milioni di italiani e
parzialmente vanificata dalla legge Vassalli l’anno seguente, è passato con 187
consensi e 180 «no», grazie all’astensione massiccia dei grillini e di alcuni
deputati di Sel. Il voto era segreto.
Ora toccherà al Senato decidere, ma con
scrutinio palese.
La votazione ha causato polemiche e preoccupazioni. Il
Governo è stato battuto anche grazie a qualche «infedele» del Pd. Ma il premier,
da Pechino, minimizza, parla di una «tempesta in un bicchier d’acqua» e si dice
certo che la normativa sarà modificata a Palazzo Madama. Il vicepresidente del
Csm Michele Vietti e l’Anm, invece, sono sul piede di guerra: «È in gioco
l’indipendenza di giudizio del magistrato, esporlo a un’azione diretta di
responsabilità metterebbe a repentaglio il suo libero convincimento e
produrrebbe un numero indefinito di processi sui processi», avverte il primo.
Per l’associazione di categoria l’emendamento è incostituzionale e «indebolisce
l’azione giudiziaria proprio mentre la magistratura è chiamata a un forte
impegno contro la corruzione». Soddisfatti, invece, i parlamentari di Forza
Italia: «Si introduce una norma sacrosanta che la Ue sollecita da mesi e che
abbatte un privilegio incomprensibile», osserva Stefania Prestigiacomo.
E il
presidente della Repubblica sottolinea che «la tutela dell’indipendenza
assicurata al giudice dagli ordinamenti non rappresenta un mero privilegio».
Serve, ha aggiunto Napolitano, «il giusto bilanciamento attraverso il rispetto
da parte dei magistrati dei principi deontologici».
Si stima che nella storia della Repubblica circa quattro
milioni di persone sono state coinvolte in inchieste e poi risultate innocenti.
Ma solo dal 1989, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale,
esistono statistiche precise e attendibili. E fanno venire i brividi. In 23
anni, fino al 2012, quasi 25 mila italiani e stranieri sono stati incarcerati
ingiustamente. Lo Stato ha speso per risarcirli 550 milioni di euro. Se a questi
sommiamo altri 30 milioni rimborsati per errori giudiziari, arriviamo a quasi
600 milioni. Ma alle 25 mila vittime ne dobbiamo aggiungere altrettante. Per
Eurispes e Unione delle camere penali, infatti, ogni anno vengono inoltrate 2500
domande di rimborso per ingiusta detenzione e solo 800 vengono accolte. Molte
vite sono state distrutte da questi sbagli. Vite di persone famose, da Enzo
Tortora a Serena Grandi, da Gigi Sabani a Lelio Luttazzi. O di semplici
cittadini. E gli errori sono rimasti puntualmente impuniti. Dall’introduzione
della Vassalli (1988) al 2012 le cause contro le toghe sono state 406. Appena 4
concluse con una condanna. Meno di una su cento.
La «fotografia» recente del nostro sistema giudiziario
scattata da Confindustria, Confartigianato, Bankitalia, Banca mondiale e
Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria-Direzione generale di statistica è
impressionante.
Il 42% dei detenuti è in custodia cautelare, quindi virtualmente
innocente.
I processi per ingiusta detenzione ed errori giudiziari sono più di
2000 ogni anno. Solo nel 2011, tanto per citare un caso, lo Stato ha dovuto
sborsare 46 milioni. E ancora: la media di attesa per una causa civile è di 4
anni; per una penale, di 7.
I processi civili hanno raggiunto il numero di sei
milioni e sono costati agli italiani 96 milioni in termini di «mancata
ricchezza».
Il «braccio lento della legge» costa ad ogni azienda 371 euro, e i
ritardi della giustizia 23 miliardi all’anno.
Non basta? Per quanto riguarda i
processi civili, che hanno una durata media di oltre due anni, lo Stato italiano
spende 70 euro ad abitante. Quello francese 56.
E in Francia la durata del
procedimento è della metà del tempo. C’è poco da aggiungere.
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