Il Financial Times denuncia gli errori commessi
dall’economista francese.
Da Krugman alla Casa Bianca: s’infiamma il
dibattito tra sostenitori e detrattori
di Paolo Mastrolilli, 24 mag 2014
L’economista francese Thomas Piketty |
Contrordine compagni: Thomas Piketty ha sbagliato i conti.
Così come il libro
del professore francese contro il capitalismo era diventato il best seller
dell’anno, allo stesso modo la denuncia lanciata dal Financial Times sui presunti errori commessi
nell’elaborazione delle sue tesi sta già facendo sensazione. Da Paul Krugman
alla Casa Bianca, sostenitori e detrattori di Piketty si stanno già cimentando
nella polemica, per difenderlo o per rivendicare di averlo sempre
criticato.
Per chi avesse passato l’ultimo anno su Marte, lo studioso francese ha
pubblicato un libro intitolato “Capital in the 21st Century”, in cui sostiene
che la diseguglianza economica fra l’1% più ricco della popolazione e il resto
dei comuni mortali è in costante aumento, e ha raggiunto livelli che non si
vedevano dall’epoca della Prima guerra mondiale.
Questa sarebbe una
“contraddizione centrale” del capitalismo, che invece di offrire a tutti la
possibilità di crescere grazie alle leggi del mercato, aiuta solo i pochi
privilegiati già sistemati in cima alla scala sociale. La denuncia di questa
diseguaglianza, e la critica delle condizioni troppo favorevoli all’1% più
agiato, è stata al centro della campagna elettorale di Barack Obama contro Mitt
Romney nel 2012, e questo aiuta a capire l’enorme attenzione che la teoria di
Piketty ha ricevuto negli Stati Uniti, esaltata dagli economisti liberal come
Paul Krugman e Joseph Stiglitz, e criticata dai conservatori, ma anche dal
consigliere economico dello stesso Obama Jason Furman.
Ora irrompe sulla scena questa analisi che Chris Giles ha pubblicato sul
Financial Times, secondo cui lo studioso francese avrebbe commesso tanto errori
fattuali, quanto interpretazioni arbitrarie dei dati. In altre parole, sbagli
simili nella loro natura a quelli che di recente avevano contribuito a demolire
il lavoro di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, autori di un altro celebrato
studio sulle ragioni per cui la crisi economica in corso è diversa da tutte le
altre.
Secondo Giles, Piketty ha usato numeri sbagliati per dimostrare la sua tesi.
Ad esempio, ha impiegato i dati sulla ricchezza dell’1% in Svezia nel 1908,
invece che nel 1920, come intendeva. Poi ha messo insieme tre paesi, Francia,
Gran Bretagna e appunto Svezia, che hanno caratteristiche diverse e quindi non
facilmente assimilabili. Quindi ha scelto di fare arrotondamenti arbitrari dei
suoi numeri. Questi, e altri peccati più o meno gravi, spingono Giles a
raggiungere una conclusione diversa da quella di “Capital in the 21st Century”:
non è vero che la diseguaglianza nel mondo occidentale sta aumentando, i
parametri sono rimasti grosso modo intatti durante l’ultimo mezzo secolo. Se
avesse ragione il Financial Times, l’intera tesi del libro più letto nell’ultimo
anno verrebbe smontata.
Data l’importanza della critica, le menti più brillanti dell’economia si
stanno già cimentando sulla sua valutazione. Ad esempio Paul Krugman, che ha
sempre condiviso l’argomento dello squilibrio a favore dell’1% più ricco, e ha
definito lo studio di Piketty come possibilmente il libro economico più
importante del decennio. Krugman non assolve il collega francese dagli eventuali
errori di metodo, e lo invita a chiarirli, però sostiene che non sono
sufficienti a demolire l’intero lavoro. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli studi
del bipartisan Congressional Budget Office dimostrano che la concentrazione dei
redditi prodotti dal capitale è davvero aumentata negli ultimi trent’anni.
Quindi Krugman invita il suo pupillo a chiarire, ma dubita che la tesi centrale
del libro verrà sconfessata.
Jason Furman, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca,
non discute il fatto che l’1% della popolazione ricca sia diventata sempre più
ricca, anche perché questo è stato uno degli argomenti centrali per la
rielezione di Obama, ma non condivide le conclusioni tratte da Piketty. Non è
assolutamente scontato, infatti, che la tendenza resti questa, e lo studioso
francese sottovaluta gli squilibri nei redditi da lavoro, che sono soggetti a
troppe varianti tecnologiche, economiche e sociali al momento
imprevedibili.
Piketty per ora ha risposto con brevi commenti, riservandosi di studiare
meglio le critiche. Ha ammesso che nella gestione di così tanti dati crudi e
disparati possano avvenire errori, e si è detto pronto a considerarli e
correggerli. Però ha aggiunto di dubitare che alla fine i numeri dimostreranno
una realtà opposta a quella che lui ha descritto: “Se il Financial Times ha la
prova che la diseguaglianza economica non è aumentata, mi avverta”.
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