Iraq, perché il primo ministro Maliki non vuole l'unità nazionale?
Il primo
ministro iracheno Nouri al-Maliki continua a rifiutare l'istituzione di un
governo di unità nazionale, un accordo della durata di sei mesi proposto dagli
USA che includerebbe rappresentanti curdi e sunniti, causando l'ennesimo
fallimento del tentativo di Washington di trovare una soluzione alle divisioni
etniche del Paese.
di Matt Schiavenza, 26 giu 2014
In un discorso televisivo trasmesso mercoledì, Maliki ha affermato
che un governo di salvezza nazionale rappresenterebbe "un colpo di Stato contro
la Costituzione e il processo politico" e un tentativo di "rubare voti agli
elettori".
Maliki ha invece ribadito la sua intenzione di formare un governo
dominato da sciiti, in accordo con i risultati delle ultime elezioni
parlamentari, tenutesi in aprile. Maliki e il suo partito Da'wa, che hanno vinto
di gran lunga le elezioni, dovrebbero concludere il processo di formazione del
governo intorno al primo luglio.
Per gli Stati Uniti, per i quali un governo di unità nazionale è
precondizione per portare assistenza contro i combattenti di ISIS (Stato
Islamico di Iraq e Siria), il rifiuto di Maliki è fonte di ulteriore
frustrazione. Washington ha accusato Maliki di essersi alienato la popolazione
sunnita, il fattore centrale del peggioramento delle tensioni settarie in Iraq.
A seguito della cattura di Mosul e di altre città nel nord e nell'ovest
dell'Iraq da parte di ISIS, l'amministrazione Obama ha reso chiaro che non ha
fiducia nel primo ministro portato al potere dall'amministrazione Bush nel
2006.
Mentre ISIS continua a prendere il controllo di ulteriori porzioni di
territorio - i militanti islamici ora controllano l'intera frontiera con la
Siria - Maliki e gli USA si trovano in un'impasse: Maliki vuole l'assistenza
militare degli statunitensi, ma solo se non sarà costretto a condividere il
potere con sunniti e curdi. Cosa pesa sulla decisione di Maliki?
La ragione più importante non ha nulla a che vedere con ISIS: sebbene
simili organizzazioni abbiano spesso minacciato la sicurezza dell'Iraq sin
dall'invasione statunitense del 2003, Maliki teme soprattutto un revival dei
Baathisti, il partito secolare sunnita che ha governato l'Iraq sotto Saddam
Hussein.
Molti Baathisti sono sopravvissuti alla pulizia attuata dopo la caduta
di Hussein. Secondo Rick Berger, un esperto indipendente da Washington, la
possibilità che emerga un movimento baathista sono abbastanza scarse. «Maliki
apparteneva a un partito che Saddam Hussein ha provato a distruggere, e questo
contribuisce a spiegare la sua paranoia».
La riluttanza di Maliki a proposito dell'inclusione di curdi e
sunniti nel governo riflette anche la sua sempre maggiore dominanza nella
politica irachena. Nelle elezioni parlamentari di aprile il partito Da'wa ha
conquistato 92 seggi in Parlamento, circa i tre quinti di quanto necessario per
formare una maggioranza. Dato che Maliki non necessita del supporto di sunniti e
curdi per arrivare alla soglia di 165 seggi, gli è sufficiente formare una
coalizione con altri partiti sciiti.
«Non c'è alcuna ragione per la quale dovrebbe cedere potere a curdi e
sciiti, a meno che non sia assolutamente necessario», spiega Berger.
Poi c'è l'Iran, che, come gli USA, ha dato supporto al regime di
Maliki sin dall'inizio dell'attuale crisi. Teheran, come Washington, ha forti
interessi nel respingere l'avanzata di ISIS in Iraq, ma, al contrario degli USA,
non ha desideri di governi di unità nazionale a Bagdad, e per ora il supporto è
pressoché privo di condizioni di livello politico, limitato però alla protezione
delle città sacre per gli sciiti.
Il New York Times ha riportato che il
coinvolgimento del governo iraniano in Iran - che è stato importante sin dalla
caduta di Saddam Hussein nel 2003 - si è approfondito in risposta alla crisi
attuale. E mentre sia Iran che USA vogliono un Iraq stabile, la definizione di
stabilità dei due attori non coincide.
«Gli USA vogliono una stabilità che risolva alcuni dei disaccordi
fondamentali nella politica irachena. Per Teheran la stabilità è un governo
sciita che imponga il proprio volere al Paese» dice Berger.
Dopo avere investito miliardi di dollari e migliaia di vite americane per
creare un Iraq multietnico, gli USA potrebbero scoprire che la visione di
Teheran è quella più vicina alla realtà.
Nessun commento:
Posta un commento