Google X, uno sguardo nel laboratorio segreto di Mountain View
Da qui sono usciti i Glass, le lenti a contatto per controllare il diabete, i
palloni aerostatici per il wi-fi e la Supercar del nuovo millennio che si guida
da sola. Sbagliando e riprovando mille volte
di Francesco Semprini, 6 mag 2014
Quella mattina, come tante altre da quando lavora in Google, Astro Teller si
è dovuto alzare molto presto per partecipare a un incontro con il co-fondatore
di Mountain View, Sergey Brin, e il direttore finanziario, Patrick Pichette.
«Vogliono essere informati delle novità il prima possibile - racconta Teller al
magazine Fast
Company - specie quando non sono positive».
Quella mattina a Teller, timoniere di Google X spettava l’ingrato compito di
riferire ai vertici una notizia poco gradevole, ovvero che una delle squadre al
suo comando aveva incontrato serie difficoltà, che c’era bisogno di un
intervento e che questo sarebbe costato una cifra non certo trascurabile.
«Grazie di avermi avvertito il prima possibile - gli risponde Pichette - Faremo
in modo che tutto funzioni a dovere». Dalla reazione composta e pacata del Cfo
sembrerebbe che nei confronti di Google X ci sia una tolleranza e una
comprensione fuori da ogni standard aziendale, ma in realtà questa spiegazione è
incompleta.
Una volta terminato l’incontro, i tre sono usciti in uno dei giardini di
Mountain View, si sono tolti le scarpe e si sono cimentati camminando su una
corda tesa tra due alberi. «Pichette è molto bravo a fare questo esercizio, Brin
un po’ meno, io per nulla», racconta Teller, 43 anni, spiegando però che ognuno
di loro provava, cadeva e riprovava di nuovo con estrema naturalezza. E’ proprio
questo il senso di Google X: quando la leadership è pronta a cadere e rialzarsi
sotto gli occhi di tutti «concede in maniera implicita a ognuno dei propri
lavoratori di essere simile a loro, ovvero di sbagliare, rialzarsi e riprovare»,
perché questo serve per centrare l’obiettivo.
Ma che cosa è Google X? Lo definiscono «Intensive private innovation lab», ma
non è un laboratorio come gli altri, è stato pensato per «fornire soluzioni
inconsuete a grandi problemi di carattere globale». E anche il personale che vi
lavora non è inquadrato in maniera tradizionale. Teller, che ne è il
responsabile, non è direttore né presidente, ma sul suo biglietto da visita
compare la qualifica di «Captain of Moonshots», termine quest’ultimo con cui si
identificano quelle innovazioni che hanno scarsa possibilità di riuscita, ma se
hanno successo possono rivoluzionare il mondo. Al servizio del capitano non ci
sono i soliti «espertoni» di Silicon Valley, anche perché Google ha già una
grande divisione di ricerca, Google Research, che si occupa dello sviluppo di
tecnologie Internet e informatiche.
La distinzione può essere fatta in questo modo: «Google Research studia il
dettaglio, Google X approfondisce su dimensioni grandi come un atomo». La sede è
ai margini del campus di Google, in un anonima palazzina di tre piani in
mattoncini rossi, senza insegne come non ci sono siti Internet ufficiali per il
laboratorio. L’entrata principale porta direttamente in un piccolo coffee bar a
self service, l’estetica è moderna, austera, industriale, ma tutto è
informatizzato. Così da riflettere la natura con cui era stato concepito nel
2009, quando Brin e Larry Page vollero istituire una nuova posizione, «Director
of Other». La spina dorsale del laboratorio dell’impossibile è Google X Rapid
Evaluation Team, chiamato anche «Rapid Eval», ovvero quella squadra di persone
che sperimentano i prototipi facendo tutto ciò che di umano e tecnologico è
possibile per farli fallire.
Alla guida c’è Rich De Vaul, un tipo genialoide con la passione per lo
skateboard, il quale ama dire: «Se c’è un’idea pazza e stramba, molto
probabilmente è la mia». «La definizione classica di esperto è una persona che
conosce sempre di più su sempre meno cose, sino a conoscere tutto di nulla. Si
tratta di persone che possono essere utili su cose sempre più specifiche, ma non
sono “X people”. - dice De Vaul - Noi vogliamo in qualche modo essere persone
che sanno sempre meno di meno su sempre più cose». Una riflessione che sembra
parafrasare in qualche modo Oscar Wilde, ma che tradotta in termini ha riscontri
chiari e forti.
Per dirne solo quattro, da Google X sono usciti i Google Glass, le lenti a
contatto per controllare il glucosio e quindi il diabete, i palloni aerostatici
per il wi-fi e la Supercar del nuovo millennio che si guida da sola. Non solo
innovazioni ma rivoluzioni, difficili certo, come camminare su una corda tesa
tra due alberi. Il punto è che basta essere pronti a cadere, rialzarsi e
riprovare. Ecco perché quando si chiede a Teller come mai Google ha deciso di
investire in X piuttosto che in qualche altra cosa che poteva essere più
ammaliante per Wall Street lui risponde con un obliquo sorriso: «Non è una vera
scelta». Come dire, sulla corda abbiamo deciso di salirci e basta.
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