di Cesare Balbo, 2 giu, 2014
«Resilienza» è una parola chiave per interpretare l'attuale fase di
transizione, un termine per lo più attribuito alla metallurgia, e sarà per
questo che ha il fascino magico-alchemico evocativo dell'oro. Può definirsi come
l'arte dell'adattamento al cambiamento, volgendo le incertezze in opportunità e
i rischi in innovazione.
Per innovare oltre all'autostima serve appunto resilienza, modalità della
mente e della psiche umana di reinventarsi e rigenerarsi.
Dagli studi di fine
anni Ottanta della psicologa americana Emmy Werner sui casi di neonati
dell'isola hawaiiana di Kauai, veniva la conferma dell'attitudine umana di far
fronte alle difficoltà della vita in contesti sociali sfavorevoli. Se negli Usa
la resilienza ha avuto più una connotazione psicologica, in Europa la parola si
è applicata abitualmente in meccanica, metallurgia e soprattutto in agricoltura,
attribuendo a un suolo la resilienza a seguito di calamità naturali, inondazioni
o siccità, poiché «capace di riprendere vita, seppur sotto forma diversa
rispetto a quella precedente lo shock ambientale».
Anche fuori dall'originale contesto e applicata in altri ambiti, la parola
indica la forza di reagire, fino a capovolgerle, alle situazioni avverse. Una
persona resiliente è dunque l'opposto di quella facilmente vulnerabile, poiché
in grado di adattarsi e fornire una risposta reattiva alla situazione in
atto.
La resilienza è una "ripartenza" sana e positiva alle spinte in un mondo
sempre più interdipendente e iperconnesso: è una alternativa che indica una via
d'uscita. Un'inversione di tendenza a seguito di un "rimbalzo" come indica la
voce latina "resalio". Si tratta dunque della capacità di cogliere al volo le
"risalite dopo le discese ardite". Laddove per discese ardite si intendono quei
fallimenti che potrebbero demoralizzare e demotivare fino all'abbandono.
Uno resiliente e tenace ai "fallimenti" doveva essere Thomas Edison, tra i più
grandi inventori della storia, con ben 1.093 brevetti a suo nome, record
imbattuto. Edison è famoso per essere l'inventore della lampadina, uno degli
oggetti più utilizzati al mondo.
Ma prima di realizzarla dovette passare
attraverso una lunga serie d'insuccessi, perché non riusciva a trovare un
materiale con cui poter fare il filamento interno senza che si bruciasse
all'accensione.
Dopo qualche migliaio di tentativi "andati in fumo" con
materiali diversi, all'obiezione se dopo così tanti "fallimenti" non fosse il
caso di lasciar perdere, lui rispondeva: «Io non ho fallito. Ho solo scoperto
2.500 materiali che non funzionano».
Ne dovette testare circa il doppio prima di
trovare la soluzione, cioè il filamento in tungsteno, e fare quindi dono
all'umanità della lampadina. Quello di Edison è un modo di approcciarsi
significativo su come affrontare e superare le avversità.
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