Il 20% dell'enorme debito pubblico del Giappone (230% del Pil, il terzo Pil
del pianeta da circa 6mila miliardi di dollari è nelle mani
della Bank of Japan.
A renderlo noto è la stessa BoJ in un comunicato.
Cosa
significa?
Semplicemente che l'istituto centrale che guida la politica monetaria
dalle parti di Tokyo negli ultimi due anni ha stampato molta moneta (al ritmo di
1.000 miliardi di dollari) l'anno e ora detiene circa 2mila miliardi di dollari
del debito giapponese.
Già, stampare moneta.
Ma cosa significa? Davvero è
possibile caricare banconote su un elicottero e distribuirle al popolo (metafora
che riprende l'immagine usata dal premio Nobel Milton Friedman per descrivere un
aumento dell'offerta di moneta che piove dal cielo)?
Cosa significa esattamente stampare moneta?
Significa emettere nuova moneta
in un sistema economico al netto di quella ritirata. Contrariamente a quanto si
può credere quando uno Stato emette nuovi titoli di debito pubblico (vende sul
mercato titoli di Stato) chiede un prestito agli investitori (sia che essi siano
stranieri siano che siano cittadini residenti nello stesso Stato) ma non emette
nuova moneta. È una partita di giro, attraverso la quale lo Stato "ritira"
tecnicamente della moneta già esistente (nei portafogli degli investitori)
impegnandosi a restituirla a un certo tasso di interesse. Quello che viene
difatti creato dal nulla quando lo Stato emette nuovo debito è un ammontare di
interessi, moneta che lo Stato dovrà procurarsi da qualche parte (nella maggior
parte dei casi accade emettendo nuovo debito in un circolo potenzialmente
vizioso). Non a caso, dagli anni '80 lo Stato italiano ha pagato oltre 3mila
miliardi di interessi su un debito pubblico che oggi ha superato i 2mila
miliardi.
E allora quando si "stampa moneta"? Quando è che arriva l'elicottero di
Friedman? Uno dei modi per farlo è acquistare titoli circolanti sul mercato
finanziario (quindi già emessi) da parte delle banche centrali. Una politica
utilizzata negli ultimi anni come contro-mossa alla crisi economica e
finanziaria partita nel 2008 da Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone. Le
rispettive banche centrali hanno acquistato titoli di Stato con moneta creata
dal nulla (le banche centrali lo possono fare) che è quindi andata a finire nei
portafogli degli investitori di chi ha venduto quei titoli alla banca centrale.
Questi investitori hanno poi dirottato questi capitali verso attività a rischio
più elevato (come le azioni) e questo spiega anche perché le Borse viaggiano su
livelli record. Wall Street e Francoforte sono ai massimi di tutti i tempi
mentre, secondo Jp Morgan il rapporto prezzo/utili delle azioni dell'indice Msci
Europe è a 14,5, il livello più alto degli ultimi 12 anni.
Quando un banca centrale acquista titoli sul mercato stiamo parlando del
famoso quantitative easing, conosciuto in italiano come "allentamento
monetario". Con una politica di quantitative easing si ottengono due effetti: 1)
immettere nuova moneta in un sistema economico; 2) abbassare i tassi di
interesse sulla parte lunga della curva dei rendimenti. Il secondo punto si può
comprendere meglio se si considera che, generalmente, una banca centrale ricorre
al quantitative easing quando 1) l'economia è depressa; 2) quando sono state già
usate le armi convenzionali per provare a sostenerla, ovvero quando la banca
centrale ha già praticamente abbassato il più possibile il tasso di interesse di
riferimento (quello che le banche commerciali pagano per ricevere in prestito
dei capitali dietro collaterali accettati dalla stessa banca centrale).
Quindi, in teoria, quando viene effettuato un quantitative easing è
simmetrico pensare che il quadro di fondo non sia favorevole e che l'economia
sia caduta in una trappola della liquidità (non è più sufficiente agire sui
tassi di interesse a breve per stimolare la domanda). L'obiettivo finale di una
manovra di "qe" è rilanciare l'economia, ovvero far affiorare soldi all'economia
reale e stimolare la domanda (investimenti di imprese e consumi delle famiglie)
depressa dalla crisi e non più stimolata dal circuito bancario per via della
contrazione del credito (alle banche commerciali non conviene prestare quando
l'economia è fragile perché aumentano i tassi di insolvenza e la rischiosità
dell'operazione).
Detto ciò, si può dire che la Bce abbia finora stampato moneta? Non proprio.
Nel 2010 ha avviato un programma di acquisto di titoli di Stato, noto come il
piano Smp (Securities markets programme) attraverso cui ha acquisto sul mercato
secondario dei bond dei Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria. Un'operazione
non convenzionale che ha suscitato polemiche tanto che Jurgen Stark, allora capo
economista della Bce, si è dimesso dal consiglio direttivo ufficialmente per
"motivi personali", anche se in più ipotizzano in polemica con la manovra della
Bce. In ogni caso, può considerarsi l'azione della Bce come una "manovra
elicottero"? Non proprio, perché successivamente la Bce ha avviato un'operazione
di sterilizzazione, ovvero di vendita degli stessi titoli sul mercato, quindi
drenando la moneta che aveva immesso con l'acquisto.
Il 5 giugno 2014 nel pacchetto di misure annunciato da Draghi la Bce ha però
"sospeso" il piano di sterilizzazione, così difatti ha lasciato nel sistema
l'equivalente di 170 miliardi di euro immessi nel piano Smp e non ancora
drenati. È questa, tecnicamente, al momento l'unica azione di immissione
monetaria netta effettuata dalla Bce dalla crisi ad oggi. Tra l'altro, non
esente da polemiche. Perché la Bce provvede ad incassare dagli Stati gli
interessi sul debito e a rigirarne il 92% alle rispettive banche centrali in
proporzione al peso dei vari Stati membri dell'Eurozona. Nel 2013 l'Italia ha
pagato 4 miliardi di euro di interessi sui 102 miliardi di titoli italiani
detenuti dalla Bce. Di questi l'8% è stato trattenuto in bilancio dalla Bce e il
92% è stato rigirato alle banche centrali dei Paesi dell'Eurozona. Ma la fetta
più ampia è andata alla Germania (che ha la quota maggiore). Quindi l'Italia ha
trasferito alla Germania circa 1,5 miliardi di interessi nel 2013 per la quota
di bond italiani detenuti dalla Bce.
Mentre la Fed, la Bank of England e la Banca del Giappone quando acquistano
bond governativi non hanno il problema del riparto degli interessi con altri
Stati e, di conseguenza, se portano il debito fino a scadenza (come stanno
facendo) monetizzano lo stesso debito che a quel punto diventa a costo zero per
lo Stato (gli interessi diventano una partita di giro da tra banca centrale e
tesoreria di Stato). In pratica è come se cancellassero debito emettendo allo
stesso tempo base monetaria netta per riattivare la domanda depressa. In questi
casi l'indipendenza tra banca centrale e governi (che in Europa agisce in modo
vincolante e che in Italia è stata inaugurata nel 1981 con il divorzio tra
Tesoro e Banca d'Italia che da allora ha impedito alla Banca d'Italia di
controllare i tassi sul debito non potendo più intervenire sul mercato primario)
in Paesi come Stati Uniti, Inghilterra e Giappone è certamente più labile. Come
dire, in casi di emergenza, si chiude un occhio e tra banche centrali e governi
si instaura un rapporto più vicino e cooperativo.
Nell'Eurozona questo non è accaduto e non può accadere sia perché ci sono 18
Stati differenti e soprattutto perché è esplicitamente vietato dai trattati. Ma
la Bce, qualcuno dirà, ha stampato moneta in altro modo, fornendo liquidità alle
banche anche sul lungo periodo a tassi agevolati attraverso operazioni Ltro
(Long term refinancing operation). In realtà, queste operazioni, tecnicamente
non equivalgono a stampare moneta. Perché la quantità immessa dal nulla deve poi
essere restituita a scadenza dalle banche alla banca centrale. Viene in sostanza
stampata moneta a termine, moneta destinata ad "autodistruggersi" con la
restituzione a scadenza, dopo 3 o 4 anni a seconda del tipo di Ltro. Operazioni
come le Ltro annunciate nel 2011, 2012 e adesso nel nuovo pacchetto con la
novità del Tltro, (targeted Ltro) ovvero un prestito agganciato in parte a
quanti prestiti alle imprese le banche effettuano, per favorire l'erogazione di
credito, non possono rientrare nell'alveo della "monetizzazione del debito" e
della tecnica di "stampare moneta" a pieno regime utilizzata invece dalle altre
banche centrali più influenti del pianeta.
E questo è anche uno dei motivi per cui l'euro resta forte nei confronti
delle altre valute, perché difatti le quantità immesse dalla banca centrale sono
a termine, non si tratta di immissioni nette. Del resto, la Bce è vincolata da
trattati europei che non prevedono che possa operare al pari di Fed, Boj e Bank
of England.
Ma esiste un altro modo di stampare moneta, al di là dei trattati? Secondo
Marco Cattaneo, consulente aziendale specializzato in operazioni di private
equity e autore, con Giovanni Zibordi, che opera nei mercati finanziari dal
1999, del libro "La soluzione per l'euro", un modo c'è. Attraverso stimoli
fiscali. Lo Stato italiano, come qualsiasi altro Stato dell'Eurozona, potrebbe
emettere certificati di credito fiscale a favore di datori di lavoro (del
settore privato) e di lavoratori (del settore privato e pubblico). Certificati
che poi potranno essere utilizzati per qualsiasi pagamento nei confronti della
pubblica amministrazione (tasse, multe, eccetera) dopo due anni.
«Questo è necessario per dare all'economia il tempo di recuperare e di
produrre la crescita del Pil e di introiti fiscali che compensa l'utilizzo del
Ccf – spiega Cattaneo -. Scaduto il termine di due anni, il detentore di Ccf li
utilizzerà per pagare imposte e altre obbligazioni finanziarie dovute allo
Stato. Questo non sarà un problema per l'equilibrio delle finanze pubbliche, in
quanto l'assegnazione di Ccf rappresenta una forte azione di stimolo alla
domanda». Un esempio? «Un lavoratore dipendente con un reddito netto di 20mila
euro annui riceve un'integrazione di reddito, sotto forma di Ccf; pari a quasi
il 20% della sua retribuzione. L'integrazione percentuale scende al 10% circa
per redditi netti di 50mila euro e al 5% per redditi netti di 100mila. In questo
modo i lavoratori dipendenti e assimilabili riceverebbero Ccf per 48 miliardi, i
lavoratori autonomi per 22. Quanto ai datori di lavoro riceverebbero Ccf per 83
miliardi, pari al 18% del monte retribuzioni delle aziende private italiane
stimato per il 2014 in 466 miliardi di euro. Questo equivale ad abbattere di
circa il 18% il costo effettivo del lavoro. In questo modo si ottiene, per via
diversa, il riallineamento di competitività (quella persa nei primi 15 anni di
Eurozona con la Germania dato che l'Italia ha aumentato il costo del lavoro per
unità di prodotto del 18% in più rispetto alla Germania) che – ai tempi delle
monete nazionali – era conseguito mediante la variazione dei cambi».
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