di Fabrizio Forquet, 5 giu 2014
È tempo di dare un freno alla garrula euforia che sembra essersi diffusa nel
Paese - non da parte del premier - dopo il «40%» conquistato da Matteo Renzi
alle elezioni europee.
Il consenso è una benzina importante per fare le riforme.
Ma la rincorsa dei laudatores e l'ottimismo fatuo di queste giornate non
risolvono neppure uno dei gravi problemi che il Paese ha di fronte.
Non
sovvertono certamente il dato di una caduta di produzione in Italia del 25% dal
2000 ad oggi contro un incremento del 36% nel resto del mondo. Con picchi
drammatici in quelli che erano i settori di punta dell'industria italiana, dal
meno 48% del tessile al meno 52% degli autoveicoli. Una fotografia inesorabile,
quella scattata dal Centro studi di Confindustria diretto da Luca Paolazzi,
della contrazione economica che il Paese sta vivendo.
Tanto più che non si
vedono segnali di una inversione di tendenza. I dati sulla produzione
industriale di maggio parlano di un modestissimo +0,2% mese su mese.
La
variazione congiunturale acquisita per il secondo trimestre è praticamente
nulla. L'Istat evidenzia in maggio, per la prima volta dalla fine dello scorso
anno, un peggioramento dei giudizi sugli ordini delle imprese. Per non parlare
dell'andamento dell'occupazione, che ha registrato ad aprile la perdita di altri
68mila posti di lavoro.
Con questi segnali la possibilità che il Pil possa accelerare in modo
significativo rispetto al -0,1 per cento registrato nel primo trimestre diventa
remota. L'andamento del prodotto è poco più che piatto e l'obiettivo pur modesto
del +0,8% a fine anno fissato dal governo è già irrealistico. C'è da auspicare
che il bonus in busta paga possa in tempi brevi produrre i suoi effetti, ma le
valutazioni critiche di ieri della Corte dei conti non aiutano ad essere
ottimisti in questo senso.
La bassa crescita renderà poi più problematico far
tornare i conti già nel 2014. La commissione europea ha evitato di chiedere
esplicitamente una manovra correttiva, e ha fatto bene, ma a questo alludeva nel
parlare di rafforzamento delle misure in corso d'anno. Una cosa è certa: una
nuova manovra avrebbe un effetto ulteriormente depressivo sulla crescita facendo
avvitare l'Italia in una spirale senza uscita. Va quindi evitata ad ogni costo.
Tanto più che già la prossima legge di stabilità dovrà individuare per il
prossimo anno coperture per almeno 15 miliardi solo per confermare il bonus di
80 euro e per finanziare spese inderogabili come le missioni internazionali.
Sembra un rebus irrisolvibile.
Soprattutto se ci aggiungi una pressione
fiscale sulle imprese che è del 50% superiore alla media europea, come ha
denunciato ancora ieri la Corte dei conti, un costo del lavoro che continua a
crescere del tutto slegato dalla produttività, un settore sommerso dell'economia
che viaggia al 21%. Eppoi il nodo della legalità, che diventa sempre più un
allarme nazionale. Sembra che non ci sia grande appalto che non affondi tra
avvisi di garanzia ed arresti. Forse è davvero questa la prima emergenza: perché
corrotti e corruttori distruggono il mercato, espellendo l'impresa sana e
bruciando la fiducia che è il primo capitale dell'iniziativa
economica.
Questa è la realtà che oggi Renzi ha di fronte. Non è lui,
evidentemente, ad esserne responsabile. Ma è lui che deve trovare la soluzione.
Il 40% dei consensi elettorali non sono ancora la soluzione, la soluzione sono
le riforme in Italia e in Europa. Quegli 11 milioni di elettori ti possono dare
una spinta, aiutano a superare i tanti veti e le tante resistenze di chi non
vuole cambiare, ma i problemi per ora restano tutti lì. Così come le riforme da
fare.
La fiducia può aiutare, l'euforia no.
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