Adriano Farano |
«La Silicon Valley mi ha cambiato la vita. Ma se ce l'ho fatta è solo per un
motivo culturale. Sono un uomo del Sud. Partito da Cava de' Tirreni, alle porte
della Costiera Amalfitana, ho portato con me l'arte di arrangiarmi e la voglia
di farcela».
Adriano Farano, 34 anni, ha creato a Menlo Park, in California,
Watchup , un' App per iPad e iPhone che reinventa il concetto di telegiornale e
permette di avere in un'unica applicazione video-news di diverse emittenti. La
sua startup, avviata con 600 dollari, ha poi raccolto finanziamenti per 1,5
milioni di dollari (da investitori giganti come la Microsoft di Bill Gates).
«Per la Silicon Valley ero un ragazzo italiano arrivato dal nulla. Non
conoscevo nessuno e dovevo dimostrare di avere le carte in regola. Il mio era un
problema di credibilità. La competizione qui è altissima: anche se è la Mecca
dell'accesso al credito, solo una startup
su 300 riesce a ottenere finanziamenti» racconta Farano a IlSole24Ore.com. Ex
bambino prodigio, Farano è stato fulminato dalla passione per le video-news a 9
anni. «Era il 1989. Il primo telegiornale che ho visto nella mia vita raccontava
il crollo del muro di Berlino. Il giorno dopo, a scuola, mi sono accorto che
nessuno dei miei compagni aveva sentito la notizia. Tornato a casa ho preso dei
fogli e messo insieme quello che ho chiamato "Il giornalino di Berlino". Facevo
le fotocopie e lo vendevo per 500 lire. Ho "assunto" 4 bambini che sapevano
scrivere e disegnare e prodotto almeno 5 numeri. Quando la maestra si è accorta
che a scuola giravano dei soldi, ha vietato la pubblicazione. In America mi
avrebbero dato un premio. Lì ho capito, seppur inconsciamente, che per farcela
sarei dovuto andare altrove».
Nel 2001, Farano è già all'estero.
E' uno studente Erasmus a Strasburgo. Qui
fonda un giornale online, multilingue, che si chiama CasaBabel.com. Esiste
ancora e ha redazioni in 35 città europee. «Quella è stata la prima iniziativa
in Europa a viaggiare sull'onda del giornalismo partecipativo». Grazie a questa
esperienza, nel 2010, vince la Knight Fellowships, una borsa di ricerca
all'università di Stanford in California che offre a 20 giornalisti di tutto il
mondo la possibilità di lanciare un progetto sperimentale per rinnovare il
giornalismo.
«Era la mia grande occasione. Sono partito per gli USA con moglie e due figli
(la più piccola aveva 3 mesi). Avevamo la casa, il visto, un sacco di appoggi».
Ma un anno passa in fretta, il visto scade e Farano deve tornare in Europa. «Mi
sentivo come Cenerentola alla fine della festa, perché ormai ero innamorato di
questo pezzo di mondo e volevo restare».
Ottiene allora un visto per "stranieri
con abilità straordinarie" ("aliens with extraordinary abilities"), e inizia a
lavorare a Watchup. «Avere un'idea è già un grande passo, ma trasformarla in un
prodotto è un'altra cosa». Cerca un co-founder tecnico, con cui lavora duramente
e per mesi non vede un dollaro. «Ho raccolto i primi 500mila dollari in 100
appuntamenti. I primi 30 sono andati tutti male. Ma io non mollavo. Ci credevo.
Questa è la golden age del giornalismo. Non c'è mai stata cosi tanta produzione
di informazioni e le persone non hanno mai passato tanto tempo per leggere le
notizie».
Cosi Farano crea un team competente («qui si dice capace di execution, di
seguire cioè la visione del fondatore»). E grazie alla sua tenacia inizia a
raccogliere consensi.
Quando incontra l'ex direttore del Wall Street Journal,
Gordon Crovitz, uno dei primi finanziatori di Watchup, si sente dire: «Se hai
lasciato la Costiera Amalfitana e i posti più belli del mondo per fare una
startup, è perché ci credi veramente. E io con te».
Anche con l'investitore di
Microsoft, di origine italiane, la ciliegina sulla torta è stata la sua
provenienza dall'Italia.
Oggi, con in cassa 1,5 milioni di dollari, Farano
assume nuovi tecnici e lavora per portare Watchup su Android. Intanto pensa a un
nuovo round di finanziamenti e sogna la quotazione in Borsa.
«Siamo vicini di casa di Facebook. Abbiamo qualche miliardo in meno, ma la
stessa forza di volontà. Il ritmo di lavoro è molto intenso, ma mi ritengo un
privilegiato. Credo che sia il contatto con la natura a rendere la Silicon
Valley il luogo più innovativo del mondo. Qui c'è un'alta densità di
imprenditori, startupper, investitori, ingegneri. Eppure è un posto dove ci si
gode la vita. Se sali su una collina vedi la Silicon Valley ricoperta di alberi.
Il mare è vicino. C'è la Napa valley, dove si fa il vino. Nessuno indossa giacca
e cravatta. Gli investitori arrivano agli appuntamenti in tuta, sudati, dopo
aver fatto jogging». «Tutti fanno una startup. E tutti condividono un motto: get
out of the building. Esci dagli uffici e parla con la gente per chiedere cosa ne
pensa. Essere in Silicon Valley significa scendere dal panettiere per
convalidare la bontà di un'interfaccia grafica. Le tecnologie che vengono
pensate qui finiscono per diventare universali perché qui si parla all'utente
più che altrove».
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