mercoledì 4 giugno 2014

I giapponesi hanno registrato il marchio "ragù"...

Il ragù «diventa» giapponese
Coldiretti: «Scandaloso»

La nipponica Mizkan ha comprato due marchi alimentari dalla Unilever per 1,6 miliardi di dollari

22 mag 2014

BOLOGNA — Gli agricoltori dichiarano guerra al «ragù giapponese». «È scandaloso che il nome comune di una ricetta tipica della tradizione italiana sia diventato un marchio registrato da una multinazionale che viene venduta e comperata dagli Stati uniti al Giappone senza alcun legame con la realtà produttiva del Made in Italy». Lo ha affermato la Coldiretti nel commentare la cessione da parte di Unilever dei marchi Ragù e Bertolli (la divisione sughi e piatti pronti) alla giapponese Mizkan per 2,5 miliardi di dollari (circa 1,6 miliardi di euro), compresi due stabilimenti di produzione negli Stati Uniti. «Siamo di fronte ad un episodio che conferma la disattenzione con cui nel passato è stato difeso il patrimonio agroalimentare nazionale», ha affermato in una nota il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo. Quel che succede, sull’asse Usa-Giappone è una «lezione che — dice Moncalvo —dobbiamo imparare anche in riferimento al negoziato sul libero scambio in corso con gli Stati uniti dove è in ballo la tutela delle nostre denominazioni alimentari più tipiche su un mercato dove otto formaggi di tipo italiano su 10 sono in realtà ottenuti nel Wisconsin, in California e nello Stato di New York, dal Parmesan al provolone, dall’Asiago alla mozzarella».
LA VERA RICETTA — Coldiretti ricorda anche che secondo la ricetta depositata dalla delegazione felsinea dell’Accademia italiana della cucina presso la Camera di commercio di Bologna, «il vero ragù è fatto con polpa di manzo macinata grossa, pancetta di maiale, carota gialla, costa di sedano, cipolla, passata di pomodoro o pelati, vino bianco secco, latte intero, poco brodo, olio d’oliva o burro, sale, pepe». Invece, «con il marchio Ragù venduto dall’Unilver all’azienda giapponese si vendono invece improbabili varianti denominate “Pizza”, “Robusto”, “Ragù pastai” ed anche una tipologia “chunky” per vegetariani ottenuta con tutta probabilità con pomodoro coltivato in California». Per Coldiretti è «un esempio di “italian sounding” che nulla ha a che fare con la tradizione italiana e che — oltre a togliere spazi di mercato al vero Made in Italy — rischia di danneggiare l’immagine della gastronomia italiana nel mondo».
TUTTE LE IMITAZIONI — Complessivamente, le imitazioni di prodotti alimentari italiani nel mondo sviluppano un fatturato di 60 miliardi «pari a quasi il doppio delle esportazioni dei prodotti originali e sono diffuse soprattutto nei Paesi più ricchi del globo». Si copia di tutto: c’èlo «Spicy thai pesto» statunitense, il «Parma salami» del Messico, una «mortadela» siciliana dal Brasile, un «salami calabrese» prodotto in Canada, il «provolone» del Wisconsin, gli «chapagetti» prodotti in Corea. Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono i piu’ copiati nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, ma in vendita c’e’ anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America.

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