mercoledì 11 giugno 2014

La fiducia nella ripresa futura può aiutare, l'euforia no...



di Fabrizio Forquet, 5 giu 2014


È tempo di dare un freno alla garrula euforia che sembra essersi diffusa nel Paese - non da parte del premier - dopo il «40%» conquistato da Matteo Renzi alle elezioni europee. 
Il consenso è una benzina importante per fare le riforme. 
Ma la rincorsa dei laudatores e l'ottimismo fatuo di queste giornate non risolvono neppure uno dei gravi problemi che il Paese ha di fronte.

Non sovvertono certamente il dato di una caduta di produzione in Italia del 25% dal 2000 ad oggi contro un incremento del 36% nel resto del mondo. Con picchi drammatici in quelli che erano i settori di punta dell'industria italiana, dal meno 48% del tessile al meno 52% degli autoveicoli. Una fotografia inesorabile, quella scattata dal Centro studi di Confindustria diretto da Luca Paolazzi, della contrazione economica che il Paese sta vivendo. 
Tanto più che non si vedono segnali di una inversione di tendenza. I dati sulla produzione industriale di maggio parlano di un modestissimo +0,2% mese su mese. 

La variazione congiunturale acquisita per il secondo trimestre è praticamente nulla. L'Istat evidenzia in maggio, per la prima volta dalla fine dello scorso anno, un peggioramento dei giudizi sugli ordini delle imprese. Per non parlare dell'andamento dell'occupazione, che ha registrato ad aprile la perdita di altri 68mila posti di lavoro.



Con questi segnali la possibilità che il Pil possa accelerare in modo significativo rispetto al -0,1 per cento registrato nel primo trimestre diventa remota. L'andamento del prodotto è poco più che piatto e l'obiettivo pur modesto del +0,8% a fine anno fissato dal governo è già irrealistico. C'è da auspicare che il bonus in busta paga possa in tempi brevi produrre i suoi effetti, ma le valutazioni critiche di ieri della Corte dei conti non aiutano ad essere ottimisti in questo senso.


La bassa crescita renderà poi più problematico far tornare i conti già nel 2014. La commissione europea ha evitato di chiedere esplicitamente una manovra correttiva, e ha fatto bene, ma a questo alludeva nel parlare di rafforzamento delle misure in corso d'anno. Una cosa è certa: una nuova manovra avrebbe un effetto ulteriormente depressivo sulla crescita facendo avvitare l'Italia in una spirale senza uscita. Va quindi evitata ad ogni costo. Tanto più che già la prossima legge di stabilità dovrà individuare per il prossimo anno coperture per almeno 15 miliardi solo per confermare il bonus di 80 euro e per finanziare spese inderogabili come le missioni internazionali.

Sembra un rebus irrisolvibile. 
Soprattutto se ci aggiungi una pressione fiscale sulle imprese che è del 50% superiore alla media europea, come ha denunciato ancora ieri la Corte dei conti, un costo del lavoro che continua a crescere del tutto slegato dalla produttività, un settore sommerso dell'economia che viaggia al 21%. Eppoi il nodo della legalità, che diventa sempre più un allarme nazionale. Sembra che non ci sia grande appalto che non affondi tra avvisi di garanzia ed arresti. Forse è davvero questa la prima emergenza: perché corrotti e corruttori distruggono il mercato, espellendo l'impresa sana e bruciando la fiducia che è il primo capitale dell'iniziativa economica.

Questa è la realtà che oggi Renzi ha di fronte. Non è lui, evidentemente, ad esserne responsabile. Ma è lui che deve trovare la soluzione. Il 40% dei consensi elettorali non sono ancora la soluzione, la soluzione sono le riforme in Italia e in Europa. Quegli 11 milioni di elettori ti possono dare una spinta, aiutano a superare i tanti veti e le tante resistenze di chi non vuole cambiare, ma i problemi per ora restano tutti lì. Così come le riforme da fare. 
La fiducia può aiutare, l'euforia no.

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