mercoledì 4 giugno 2014

L'economista Picketty ed il suo libro contro il Capitalismo: ha sbagliato a fare i conti?

Il Financial Times denuncia gli errori commessi dall’economista francese.
Da Krugman alla Casa Bianca: s’infiamma il dibattito tra sostenitori e detrattori

di Paolo Mastrolilli, 24 mag 2014

L’economista francese Thomas Piketty

Contrordine compagni: Thomas Piketty ha sbagliato i conti. 

Così come il libro del professore francese contro il capitalismo era diventato il best seller dell’anno, allo stesso modo la denuncia lanciata dal Financial Times sui presunti errori commessi nell’elaborazione delle sue tesi sta già facendo sensazione. Da Paul Krugman alla Casa Bianca, sostenitori e detrattori di Piketty si stanno già cimentando nella polemica, per difenderlo o per rivendicare di averlo sempre criticato. 

Per chi avesse passato l’ultimo anno su Marte, lo studioso francese ha pubblicato un libro intitolato “Capital in the 21st Century”, in cui sostiene che la diseguglianza economica fra l’1% più ricco della popolazione e il resto dei comuni mortali è in costante aumento, e ha raggiunto livelli che non si vedevano dall’epoca della Prima guerra mondiale. 

Questa sarebbe una “contraddizione centrale” del capitalismo, che invece di offrire a tutti la possibilità di crescere grazie alle leggi del mercato, aiuta solo i pochi privilegiati già sistemati in cima alla scala sociale. La denuncia di questa diseguaglianza, e la critica delle condizioni troppo favorevoli all’1% più agiato, è stata al centro della campagna elettorale di Barack Obama contro Mitt Romney nel 2012, e questo aiuta a capire l’enorme attenzione che la teoria di Piketty ha ricevuto negli Stati Uniti, esaltata dagli economisti liberal come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, e criticata dai conservatori, ma anche dal consigliere economico dello stesso Obama Jason Furman. 

Ora irrompe sulla scena questa analisi che Chris Giles ha pubblicato sul Financial Times, secondo cui lo studioso francese avrebbe commesso tanto errori fattuali, quanto interpretazioni arbitrarie dei dati. In altre parole, sbagli simili nella loro natura a quelli che di recente avevano contribuito a demolire il lavoro di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, autori di un altro celebrato studio sulle ragioni per cui la crisi economica in corso è diversa da tutte le altre. 

Secondo Giles, Piketty ha usato numeri sbagliati per dimostrare la sua tesi. Ad esempio, ha impiegato i dati sulla ricchezza dell’1% in Svezia nel 1908, invece che nel 1920, come intendeva. Poi ha messo insieme tre paesi, Francia, Gran Bretagna e appunto Svezia, che hanno caratteristiche diverse e quindi non facilmente assimilabili. Quindi ha scelto di fare arrotondamenti arbitrari dei suoi numeri. Questi, e altri peccati più o meno gravi, spingono Giles a raggiungere una conclusione diversa da quella di “Capital in the 21st Century”: non è vero che la diseguaglianza nel mondo occidentale sta aumentando, i parametri sono rimasti grosso modo intatti durante l’ultimo mezzo secolo. Se avesse ragione il Financial Times, l’intera tesi del libro più letto nell’ultimo anno verrebbe smontata. 

Data l’importanza della critica, le menti più brillanti dell’economia si stanno già cimentando sulla sua valutazione. Ad esempio Paul Krugman, che ha sempre condiviso l’argomento dello squilibrio a favore dell’1% più ricco, e ha definito lo studio di Piketty come possibilmente il libro economico più importante del decennio. Krugman non assolve il collega francese dagli eventuali errori di metodo, e lo invita a chiarirli, però sostiene che non sono sufficienti a demolire l’intero lavoro. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli studi del bipartisan Congressional Budget Office dimostrano che la concentrazione dei redditi prodotti dal capitale è davvero aumentata negli ultimi trent’anni. Quindi Krugman invita il suo pupillo a chiarire, ma dubita che la tesi centrale del libro verrà sconfessata. 

Jason Furman, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca, non discute il fatto che l’1% della popolazione ricca sia diventata sempre più ricca, anche perché questo è stato uno degli argomenti centrali per la rielezione di Obama, ma non condivide le conclusioni tratte da Piketty. Non è assolutamente scontato, infatti, che la tendenza resti questa, e lo studioso francese sottovaluta gli squilibri nei redditi da lavoro, che sono soggetti a troppe varianti tecnologiche, economiche e sociali al momento imprevedibili. 

Piketty per ora ha risposto con brevi commenti, riservandosi di studiare meglio le critiche. Ha ammesso che nella gestione di così tanti dati crudi e disparati possano avvenire errori, e si è detto pronto a considerarli e correggerli. Però ha aggiunto di dubitare che alla fine i numeri dimostreranno una realtà opposta a quella che lui ha descritto: “Se il Financial Times ha la prova che la diseguaglianza economica non è aumentata, mi avverta”. 

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