sabato 28 giugno 2014

Il problema dell'Iraq...

Iraq, perché il primo ministro Maliki non vuole l'unità nazionale?

Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki continua a rifiutare l'istituzione di un governo di unità nazionale, un accordo della durata di sei mesi proposto dagli USA che includerebbe rappresentanti curdi e sunniti, causando l'ennesimo fallimento del tentativo di Washington di trovare una soluzione alle divisioni etniche del Paese.

di , 26 giu 2014

In un discorso televisivo trasmesso mercoledì, Maliki ha affermato che un governo di salvezza nazionale rappresenterebbe "un colpo di Stato contro la Costituzione e il processo politico" e un tentativo di "rubare voti agli elettori". 
Maliki ha invece ribadito la sua intenzione di formare un governo dominato da sciiti, in accordo con i risultati delle ultime elezioni parlamentari, tenutesi in aprile. Maliki e il suo partito Da'wa, che hanno vinto di gran lunga le elezioni, dovrebbero concludere il processo di formazione del governo intorno al primo luglio.

Per gli Stati Uniti, per i quali un governo di unità nazionale è precondizione per portare assistenza contro i combattenti di ISIS (Stato Islamico di Iraq e Siria), il rifiuto di Maliki è fonte di ulteriore frustrazione. Washington ha accusato Maliki di essersi alienato la popolazione sunnita, il fattore centrale del peggioramento delle tensioni settarie in Iraq. A seguito della cattura di Mosul e di altre città nel nord e nell'ovest dell'Iraq da parte di ISIS, l'amministrazione Obama ha reso chiaro che non ha fiducia nel primo ministro portato al potere dall'amministrazione Bush nel 2006.

Mentre ISIS continua a prendere il controllo di ulteriori porzioni di territorio - i militanti islamici ora controllano l'intera frontiera con la Siria - Maliki e gli USA si trovano in un'impasse: Maliki vuole l'assistenza militare degli statunitensi, ma solo se non sarà costretto a condividere il potere con sunniti e curdi. Cosa pesa sulla decisione di Maliki?

La ragione più importante non ha nulla a che vedere con ISIS: sebbene simili organizzazioni abbiano spesso minacciato la sicurezza dell'Iraq sin dall'invasione statunitense del 2003, Maliki teme soprattutto un revival dei Baathisti, il partito secolare sunnita che ha governato l'Iraq sotto Saddam Hussein. 
Molti Baathisti sono sopravvissuti alla pulizia attuata dopo la caduta di Hussein. Secondo Rick Berger, un esperto indipendente da Washington, la possibilità che emerga un movimento baathista sono abbastanza scarse. «Maliki apparteneva a un partito che Saddam Hussein ha provato a distruggere, e questo contribuisce a spiegare la sua paranoia».

La riluttanza di Maliki a proposito dell'inclusione di curdi e sunniti nel governo riflette anche la sua sempre maggiore dominanza nella politica irachena. Nelle elezioni parlamentari di aprile il partito Da'wa ha conquistato 92 seggi in Parlamento, circa i tre quinti di quanto necessario per formare una maggioranza. Dato che Maliki non necessita del supporto di sunniti e curdi per arrivare alla soglia di 165 seggi, gli è sufficiente formare una coalizione con altri partiti sciiti.

«Non c'è alcuna ragione per la quale dovrebbe cedere potere a curdi e sciiti, a meno che non sia assolutamente necessario», spiega Berger.

Poi c'è l'Iran, che, come gli USA, ha dato supporto al regime di Maliki sin dall'inizio dell'attuale crisi. Teheran, come Washington, ha forti interessi nel respingere l'avanzata di ISIS in Iraq, ma, al contrario degli USA, non ha desideri di governi di unità nazionale a Bagdad, e per ora il supporto è pressoché privo di condizioni di livello politico, limitato però alla protezione delle città sacre per gli sciiti. 
Il New York Times ha riportato che il coinvolgimento del governo iraniano in Iran - che è stato importante sin dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003 - si è approfondito in risposta alla crisi attuale. E mentre sia Iran che USA vogliono un Iraq stabile, la definizione di stabilità dei due attori non coincide.
«Gli USA vogliono una stabilità che risolva alcuni dei disaccordi fondamentali nella politica irachena. Per Teheran la stabilità è un governo sciita che imponga il proprio volere al Paese» dice Berger.

Dopo avere investito miliardi di dollari e migliaia di vite americane per creare un Iraq multietnico, gli USA potrebbero scoprire che la visione di Teheran è quella più vicina alla realtà.

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